Replying to Madagasikara

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Last 10 Posts [ In reverse order ]

  1. Posted 25/11/2014, 08:28
    Sandro, sei grande, come scrittore/poeta e soprattutto come uomo e cristiano, con l'animo aperto e sensibile, in grado di scoprire e accogliere il diverso, l'umano nei suoi valori più autentici. GRAZIE!!!
  2. Posted 26/9/2014, 09:14
    Grazie Sandro,
    questi sono i racconti che ci fanno conoscere e conoscere ci fa amare.
    Alla prossima!
  3. Posted 25/9/2014, 17:56
    Bella idea questo blog! Grazie per la condivisione. . Ettore
  4. Posted 25/9/2014, 17:54
    Ci fai viaggiare ... e non solo geograficamente! grazie!
  5. Posted 25/9/2014, 16:27

    Fianarantsoa, 25 settembre 2014

    Pennellate dal Madagascar

    Durante il viaggio di due giorni da Ambatondrazaka a Fianarantsoa con il taxi-brousse (un pulmino di 20, 30 posti stracarico di persone e bagagli e con poco spazio per distendere le gambe o alzarsi in piedi) ci fermiamo lungo la strada, in montagna, per una pausa e per sgranchirci le gambe, appunto. Lì vicino ci sono due bambini piccoli che subito si avvicinano per vendere qualcosa (prodotti di casa loro, immagino), ma nessuno dei viaggiatori pare interessato. Loro però non se ne vanno, ma anzi rimangono lì a guardare, quasi a bocca aperta, questo vahaza (straniero dalla pelle bianca), uno spettacolo che si vede raramente da quele parti (nelle città a volte può anche succedere, ma in campagna o in montagna...). Probabilmente sono fratello e sorella e questa ha seguito il primo. Lui però, diversamente da tanti altri, non dimostra timidezza quando lo guardo e non abbassa gli occhi voltandosi dall'altra parte facendo finta di non aver guardato (come invece fanno gli adulti), ma anzi si avvicina ancora e continua a osservarmi.
    A un certo punto, alzando gli occhi, vedo che è proprio accanto a me, con un atteggiamenteo decisamente aperto e mi viene spontaneo sorridergli e dargli un colpetto con la mano sulla tesa del cappello, in segno amichevole, e lui non solo non si tira indietro, ma quasi sembra accettarlo (magari gradirlo?). Il tutto senza una parola (dato che io non parlo ancora il Malgascio e non credo che lui parli il Francese), ma a me resta l'impressione di un raporto, di una corrente invisibile che passa tra noi, una simpatia istintiva. Questo episodio mi è parso significativo di questi primi due mesi in questo immenso paese, immenso non solo da un punto di vista geografico, ma anche etnico, culturale... A me piace definire il Madagascar come un piccolo continente, figlio di Asia e Africa, come qualcuno suggerisce, e comunque diverso da entrambi, proprio come un figlio è diverso dai genitori.
    Madagazikara, paese ai confini del mondo (con riferimento all'Europa), ma non solo per la posizione sul globo terrestre (in basso a destra dell'Africa se ancora non l'aveste localizzata), ma soprattutto per la realtà delle comunicazioni, in particolare per i villaggi rurali distanti anche centinaia di chilometri dalle principali arterie e, comunque, dalle strade asfaltate (e a volte raggiungibili solo a piedi attraversando sentieri nella foresta). Terra alla fine del mondo, perché ci vuole, appunto, un viaggio lunghissimo per arrivarci, ma anche e forse soprattutto perché, mentre il viaggio prosegue, è come se, pian piano, i segni della cosiddetta “civilizzazione” rimanessero indietro, si ritraessero, per far posto all'essenziale (immagine questa di un altro essenziale, interiore?).
    E in fondo forse è più giusto definirlo un viaggio interiore, viaggio che può portare lontano dal rumore quotidiano, quel rumore che da noi in occidente avvolge la vita di ogni giorno fino a non essere nemmeno più percettibile, rumore di fondo anche interiore che ci scherma a chi ci circonda, muro invisibile, ma insuperabile, che ci isola in mezzo a migliaia di persone. Viaggio alla ricerca di un incontro più profondo anche con l'umanità, a volte anche sofferente, piagata, ma che è una ricchezza che mi appartiene: l'eredità di ogni essere umano sulla terra, eredità per diritto di nascita, ma così lontana alla vita dei più...
    Madagazikara, terra di missione in cui, accanto a cattolici e protestanti e alla religione tradizionale, proliferano le sette, che fanno facile proselitismo tra la gente semplice, magari in condizione di povertà estrema. Terra di colonizzazione nel secolo scorso e di neo colonizzazione nel secolo attuale, in cui le potenze straniere cercano di entrare con le promesse, per sfruttare le riccezze dell'isola, lasciando ai locali solo le briciole, assieme alla corruzione (mali questi che sono comuni a molti paesi poveri del mondo).
    Due mesi fa, il giorno del mio arrivo ad Ambatondrazaka, dopo un viaggio di 7 ore, già dopo il tramonto del sole, ci troviamo su un rettilineo che penetra nel buio della notte, con solo una luce all'orizzonte, che mi suggerisce un impressione, quella di un appuntamento: appuntamento con un senso più profondo della vita, richiamo all'essenziale, in contrasto con tutti i luccichini e le illusioni di quell'altro mondo, quello da cui arrivo. In fondo, mi ricorda la stanchezza che provavo prima di partire, stanchezza di correre dietro a tanti fantasmi, a realtà illusorie che alla fine lasciano solo il vuoto. Forse in realtà è più un appuntamento con me stesso con quel me/noi, un me che ha bisogno di vivere di rapporti con gli altri esseri umani e di vivere in e del noi per ritrovare se stesso. Un richiamo a vivere di più dentro per poter vivere più proiettati verso l'esterno, verso l'incontro con quell'umanità che mi circonda, abbandonando tutto ciò che non serve, che non mi serve, che non è rapporto... E richiamo a un essenziale, all'Essenziale, a Colui che è essenziale alla vita dell'uomo, essenziale perché questi possa essere veramente sè stesso, perché possa infine arrivare a incontrare “sé stesso”...
    Qualche giorno dopo ad Ambatondrazaka una serata di benvenuto. Una serata semplice con alcuni manicaretti preparati dalla mamme, preceduta e conclusa con una preghiera, con qualche discorso e qualche canto in coro: chiacchiere a piccoli gruppi, giochi di bambini... Insomma niente di eccezionale, ma una serata piacevole che ti lascia dentro quella sensazione profonda di essere accolto, di aver trovato anche qui una famiglia. Poi due mesi di vita più o meno normale, in attesa di un lavoro, nello sforzo di imparare la lingua del posto, alla ricerca di costruire quei rapporti, oltre le difficoltà, oltre le incomprensioni, le differenze di cultura, di carattere... E qualche occasione speciale, come se ci fosse qualcun'altro che mi guida a incontrare questa realtà, direi, in modo un po' speciale, come se mi accompagna per mano.
    Ad esempio quella volta che il vescovo di Ambatondrazaka mi invita ad accompagnarlo in una visita pastorale (tre in realtà) nella relatà rurale della diocesi. Il primo giorno il viaggio è di 2 ore e mezza, per arrivare fino a un villaggio a 100km circa dalla città. Tutta strada asfaltata, anche se con molte buche. Il villaggio, però, è un po' fuori dalla strada asfaltata e per arrivarci dobbiamo guadare un fiume con il fuoristrada del vescovo e poi risalire un pezzetto lungo il fianco di una montagna seguendo una pista che non è certo fatta per le macchine, in qualche tratto piuttosto un sentiero, in mezzo alla polvere e, arrivati al villaggio, in mezzo agli sguardi curiosi dei bambini (e non solo di quelli) che vedono passare questi vahaza, cosa non certo comune laggiù (pensate, per chi è stato qualche volta al circo, agli animali esotici...). E poi la comunità cristiana del posto (e dei villaggi vicini) all'esterno della chiesetta, che è troppo piccola per contenerli tutti, gente con una fede semplice, che ascoltano il loro vescovo (con i bambini e qualche adulto che ogni tanto si voltano a guardare questo vahaza... Chissà se stavano pensando all'uomo bianco che mangia i bambini cattivi...).
    Ma lo spettacolo... Purtroppo non ho avuto il tempo di prendere la macchina fotografica, ma cercate di visualizzare un'immagine: a fianco di una chiesetta di campagna, circondati da case costruite con il fango e i tetti di paglia... Il tutto in un'unica tonalità di rosso ocra (e dicendo il tutto intendo i muri delle case, ma anche i tetti di paglia coperti dalla polvere onnipresente che si alza a ogni folata di vento e anche quando passa una macchina o una moto, e quella polvere copre anche le pareti della chiesa, le foglie delle piante...), il tutto, dicevo, sullo sfondo del cielo azzurro (almeno lì la polvere non si deposita). E, in mezzo a questa tonalità bicolore, i fedeli in ascolto con i loro vestiti della festa, più o meno modesti, ma curati.
    E in quel contesto non riesco a non pensare a quel rabbi che 20 secoli fa, a migliaia di chilometri da qui, parlando solo ai giudei, predicava il perdono anziché il rancore, l'amore anziché la sopraffazione... Eppure quel messaggio così strano, di bocca in bocca, è arrrivato fin qui, in questo mondo così diverso, in questa cultura così lontana, portato da quel vecchio missionario vahza che sta parlando a quei fedeli e, intercalata da qualche battuta, fa loro la sua catechesi. E mi risuonano nella mente quelle parole “... fino ai confini della terra”, mentre dentro mi pervade la sensazione di una comunione più profonda, che non si può esprimere, con l'umanità sofferente di questo nostro tempo. Qualche viaggio fino ai margini di questo mondo (margini anche in senso economico), ma, in fondo, a contatto con un'umanità, forse un po' sospettosa, certamente stupita, ma comunque più genuina, forse in qualche modo più vicina al significato vero di cosa vuol dire veramente “umanità”, che a tanti idoli più o meno moderni.
    Ora sono a Fianarantsoa, città degli studi come dice il nome, per imparare il Malgascio. È un comito certamente impegnativo per chi non è più nell'età per andare a scuola, ma una sfida affascinante perché può aprire maggiormente alla possibilità comunicare con la gente, soprattutto nelle realtà rurali. (NOTA: Fianarantsoa è una città in montagna e siamo alla fine dell'inverno, ma di giorno si sta in maniche di camicia e quando sono uscito a fare due passi è successo anche di sudare!)


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